Buoni pasto e saggezza popolare

L’altra sera, mettendo ordine tra una vomitata e l’altra nel caos-post-trasloco-che-non-finirà mai, ho trovato per caso due blocchetti di buoni pasto appartenenti a Cuoresaldo e scadenti a dicembre 2013. Cioè, adesso.
Per una come me, che non ha mai avuto un lavoro normale da dipendente, i buoni pasto sono una specie di miracolo, una sorta di Manna dal cielo: foglietti di carta con cui puoi mangiare gratis in alcuni ristoranti ma anche fare la spesa, sempre gratis, in altri. E anche se Cuoresaldo mi ha spiegato che non è proprio gratis-gratis, perché i buoni sono un modo con cui la sua azienda gli elargisce parte dello stipendio, a me paiono comunque un miracolo che è peccato capitale sprecare del tipo che, se li fai “andare a male”, finisci all’inferno. A maggior ragione se corrispondono a lacrime e sangue buttati sul lavoro.
Così, quando ho visto che i buoni di cui sopra, corrispondenti a un valore di circa 300 euro, giacevano dimenticati in una cesta dentro una scatola in mansarda, ho cacciato un urlo che a Cuoresaldo gli è quasi venuto un infarto e un altro po’ mi sono buttata di sotto per la foga:
–       Scadono questo mese, e noi tra pochi giorni saremo da tutt’altre parti… bisogna fare qualcosa!!!
Solo che Cuoresaldo, tanto per cambiare, l’indomani partiva per il Freddo Nord, sicché quella che doveva fare qualcosa ero io.
E il qualcosa da fare era il seguente: andare nel supermercato che accetta i buoni per tutti i tipi di prodotto, non solo quelli alimentari, comprare quanta più roba non scadente possibile e cercare di tornare a casa in un paio d’ore, cioè in tempo utile perché Nasser mi potesse aiutare a scaricare dalla macchina l’ingente bottino, onde evitarmi un parto-prematuro-da-sforzo sotto casa.
Inutile dire che il supermercato coi requisti giusti si trova – come il Fabbro Migliore della Galassia secondo Cuoresaldo di cui tornerò a parlarvi prima o poi  – oltre una di quelle benedette statali o provinciali che avvinghiano Macondo. Addirittura in un altro paese qui vicino: quello, per intenderci, che se avesse una squadra di calcio tutta sua, questa sarebbe acerrima nemica della squadra di Macondo (sempre se anch’essa esistesse), in una di quelle guerre di campanile cretine che solo il calcio sa concepire.  Un paese che i Macondesi chiamano Kabul, per fare del simpatico sarcasmo sullo stato disastroso delle sue strade (dissestate come se ci fossero piovute delle bombe).
Insomma, per farla breve, mi sono ritrovata in una sola mattina proiettata improvvisamente di vent’anni indietro, in quel gioco televisivo che si faceva alla fine degli anni Ottanta (forse era parte di una trasmissione più ampia che ora non ricordo), in cui il concorrente aveva molti soldi, pochissimo tempo e un supermercato tipo Upim a disposizione e tutto quello che riusciva ad arraffare con quei molti soldi e pochissimo tempo diventava suo e mentre correva forsennato per la Upim raccattando ogni genere di articolo inutile – tipo un set di palette schiacciamosche, un corredo di mutandoni da nonna, vari spray scaccola-orecchie… etc etc – Fabrizio Frizzi, Giancarlo Magalli, Milly Carlucci o chi per loro scandiva lo scorrere del tempo ad altissima voce tutto divertito: …Efisio! Hai ancora quaranta secondi! Trenta! Venti!  E a me mi veniva sempre un sacco d’ansia.
E alla fine, per quanto mi sia sforzata di fare una spesa intelligente, mi sono comunque ritrovata nel carrello partite di merci alquanto discutibili, tipo:

–       4 lattine di olio Friol, che se pure qualcuno friggesse, a casa nostra, ci vorrebbero dieci anni per smaltirlo;
–       5 tipi diversi di detersivi per la lavatrice: uno per i colorati delicati, uno per quelli normali, uno per i bianchi-bianchi, uno per i bianchi-avorio etc etc di modo che, già lo so, davanti al dubbio che la attanaglierà davanti a ogni bucato, Nasser andrà a comprarsi il suo bel prodotto che usa da sempre e fine della storia;
–       6 confezioni di guanti per lavare di una misura che non è né la mia né quella di Nasser.

Eccetera eccetera.

Al ritorno ovviamente mi sono persa, perché la strada che avevo fatta all’andata era impossibile da ripercorrere uguale-uguale all’indietro, essendo la contrada di Macondo anche detta il Regno dei Sensi Unici in cui puoi solo Girare in Tondo.
E a casa, davanti alle mie belle lattine di Friol, ho scoperto di aver scordato il caffè, che ovviamente era finito, e le biscottate: entrambi beni che consumiamo abbastanza… tipo tutti i giorni.

‘A gatta pe’ ghì ‘e pressa facette ‘e figlie cecate.

Poi dici la saggezza popolare.

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